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26 ottobre |
L'arte dell'imperfezione |
Testo: Marco Picerno
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© RaceEmotion |
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Il suono metallico di una portiera adagiata per l'ultima volta, tramutato nello scricchiolio sinistro di una crepa che si insinua, con le sue venature irregolari, nel nucleo di un rapporto rivelatosi improvvisamente e inaspettatamente fragile.
E col sottofondo di quella nota stonata dubbi e incertezze, misti a rimpianti per quel che avrebbe potuto essere e a speranze per quello che sarà, si intrecciano nella mente di un uomo che ha alle spalle strade di una terra esotica affrontate col consueto ardore, e davanti a sé un percorso avvolto invece nella nebbia e nell'ignoto.
Ott Tanak scende con fare misurato dalla Hyundai i20, destriero fedele di un triennio di avventure al limite nel massimo campionato rallystico; e chissà che in quel service di Nagoya, allontanandosi dal bolide dormiente non si sia voltato per dedicargli un saluto finale, quasi ad avvolgerlo in un abbraccio metaforico degno della fredda gestualità di un uomo del profondo nord.
Il sipario definitivo sulla stagione 2022 è appena calato, ma in un certo senso, per il talento estone, si era chiuso ancora prima: nel momento in cui, in cuor suo, aveva preso vita la consapevolezza che un promettente matrimonio professionale fosse ormai giunto al capolinea. E che quella divisa, quegli uomini, quell'auto e quel team non gli appartenessero più, come in un'orchestra in cui archi e legni si ritrovino a scandire note tra loro discordanti.
Le frecciate di fine prova al Rally di Ypres, segnali mica tanto velati di un rapporto - con un compagno ingombrante come Thierry Neuville - forse non così idilliaco come gli atteggiamenti a microfoni accesi lasciavano presagire; le critiche, anch'esse piuttosto esplicite - «è un eccellente motorista, ed è quello che dovrebbe fare...» - rivolte da Tanak a Julien Moncet, chiamato a fine 2021 a indossare in fretta e furia gli scomodi panni cuciti in precedenza per Andrea Adamo; le divergenze di vedute nello sviluppo della Rally1 coreana, nata in ritardo e domata da due fuoriclasse dagli stili di guida reciprocamente troppo diversi; e infine, l'Acropolis della discordia, con l'intervento del gran capo Kim in persona a congelare le posizioni per assicurare al team una storica tripletta, indifferente dinnanzi alle ambizioni di un semidio nordico ancora in possesso di una speranza - seppur flebile - di poter scalare l'Olimpo dei rally nella lotta con l'astro Rovanpera.
E quella crepa si è propagata, ramificata, assumendo i contorni di una cicatrice insanabile. |
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© RaceEmotion |
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Ma esiste un fil rouge che collega quel divorzio eccellente al clamoroso ritorno di fiamma tra il pilota estone ed il team di Alzenau. E passa proprio per il Giappone - terra in cui Tanak si era esibito in quelli che sembravano esser stati gli ultimi controsterzi a bordo della i20 -, coinvolgendo un'arte che affonda le sue radici in secoli lontani.
Leggenda vuole che lo shogun Ashikaga Yoshimasa, vissuto nel '400, ordinado la riparazione di un banale utensile quotidiano andato in frantumi, finì per stimolare la creatività di alcuni abili artigiani che decisero di valorizzare l'oggetto riempiendone le fratture di materiali pregiati, riuscendo così a restaurare lo strumento danneggiato e a renderlo, allo stesso tempo, di inestimabile valore.
Ne nacque una vera e propria arte, il Kintsugi, tutt'oggi coltivata da maestri del settore con tecniche e scopi analoghi a quelli per i quali venne originariamente concepita: ossia, curare le imperfezioni, le "ferite" degli oggetti - e, idealmente, anche dello spirito - mediante l'introduzione di metalli preziosi nei punti di rottura, atti a riunire i pezzi e ad adornarli in una forma nuova ed esclusiva. Un esercizio dalle forti implicazioni filosofiche, poiché emblematica della capacità umana di ergersi, nel dolore, a nuova vita.
Vergando con la sua ambita firma il contratto che lo riporterà in Hyundai nel 2024, scelta incentivata dai cambiamenti nel reparto manageriale - l'arrivo dell'esperto Cyril Abiteboul in cabina di regina - e in quello ingegneristico - l'acquisto di un "mago" come François-Xavier Demaison come direttore tecnico -, Tanak non ha fatto altro che onorare l'affascinante pratica del Sol Levante, mettendo insieme con fiducia e buona volontà i frammenti di una storia disgregata dai rancori e dalle incomprensioni.
Starà a lui e agli uomini del suo team, a questo punto, cercare di consacrare questa unione instillandovi argento e oro, così da renderla un pezzo pregiato ed unico.
Curva dopo curva. |
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