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CIR /
3 gennaio |
A tavola con Ucci-Ussi. Storie e pensieri a ruota libera |
Testo: Anna Canata
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Paolo Andreucci e Anna Andreussi, pluri-campioni italiani, non hanno certo bisogno di presentazioni. Ma per conquistare un undicesimo titolo all'ultima gara e contro avversari agguerriti, pur passando attraverso un incidente serio a stagione inoltrata, qualcosa di speciale devono pur averlo.
E in questa chiacchierata a ruota libera, lontani dalle prove speciali e dai riflettori, nella ricerca del Fattore X, cerchiamo di conoscerli un pò meglio, fuori dai soliti schemi, e partiamo proprio dall'incidente.
Come si affronta una gara cruciale come il Rally di Roma, il giorno dopo un intervento chirurgico e con un navigatore rintracciato last-minute dall'album dei ricordi, mentre Anna è in un letto di ospedale?
"Una situazione piuttosto difficile, con una tempistica strettissima. Incidente il venerdì (18/7 ndr), la domenica era previsto l'intervento che poi ho fatto lunedì perché ci siamo spostati di struttura. Nel frattempo ho sentito David (Castiglioni) che era disponibile e martedì eravamo già a Roma perché il mercoledì iniziavano le ricognizioni. In tutto questo si è inframezzata la richiesta di ulteriori esami da parte dei medici di gara perché secondo loro non ero in condizioni di correre vista la gravità dell'incidente riportata dai media. Benché fossi davanti ai loro occhi, con due certificati medici che sostenevano l'idoneità e fossi stato ricoverato per soli due giorni quando il regolamento parla di dieci, per ipotizzare degli impedimenti. Così ho dovuto fare un'altra TAC di controllo e poi per fortuna l'organizzatore è intervenuto in mio aiuto per gestire questa situazione assurda. Ma tutto questo ha richiesto tempo e generato stress visto che su certe prove abbiamo potuto fare solo un passaggio di ricognizione anziché i due previsti. Tuttavia David è stato bravissimo a fronteggiare la situazione e siamo partiti."
"Guardavo i tempi dello shakedown dall'ospedale - commenta Anna - e dopo il primo giro ho calcolato che con quel ritmo non sarebbe arrivato nei primi dieci. Allora l'ho chiamato per sapere se stava bene e in quel caso doveva provare a fare un passaggio al suo massimo, vedere come andava e valutare se valesse la pena di affrontare lo sforzo della gara. Ma bisognava capirlo subito. A quel punto o te la giochi o ti ritiri se non ha senso." "Allora sono ripartito deciso - aggiunge Paolo - e abbiamo segnato il miglior tempo degli italiani allo shakedown. Lì abbiamo dato una bella botta psicologica e ho capito che potevamo farcela."
Nei suoi riguardi si parla spesso dell'età, ma per Paolo il tempo che passa non sembra un problema.
"I piloti di rally smettono di correre più per mancanza di motivazioni che per stanchezza fisica. Se un Sainz o un Loeb si ritira dai rally e poi si presenta alla Dakar che dura quindici giorni, dove corre un Peterhansel che ha la mia età, vuol dire che bisogna aver voglia di farlo, non è una questione fisica."
E questo infatti è un altro aspetto interessante. Tu corri ogni gara come se fosse quella della vita: cosa ti dà questa motivazione?
"La passione per questo sport non mi è mai passata. E poi è il mio lavoro. Da tanti anni viviamo entrambi di questo e quindi da professionista serio cerco di dare sempre il massimo in quello che faccio, perché secondo me questo è il modo di affrontare le cose, poi se bene o male non sta a me dirlo."
Nel tuo percorso, se proprio vogliamo trovare qualcosa che manca, si tratta di una vera esperienza internazionale. Visto che ti sarebbe piaciuto, cosa te l'ha impedito?
Dalla mia ottava gara della vita ho corso nel Mondiale. Forse ho trovato persone che non sapevano cosa serviva a un giovane pilota italiano per poter crescere. Da questo punto di vista francesi e finlandesi hanno ben altre scuole e culture. Dopo sole otto gare alle spalle un pilota che affronta il Portogallo - 1989, 33 ps - e vince prove nella nebbia, distacca di oltre 1 secondo al chilometro piloti ben più esperti e altrettanto fa in Grecia, avrebbe dovuto destare più attenzione di quella che ho ricevuto. Poi la Lancia ha fermato il suo programma e quindi non c'erano altre porte che potevo aprire. Quando l'unica possibilità è ripartire da privato e metterci i soldi in prima persona, allora sei obbligato a fare scelte diverse. Poi in Italia i risultati sono arrivati anche se mi sono trovato in una successione negativa di situazioni che non sono decollate - Peugeot, Renault, Subaru - e le cose non sono andate in quella direzione. Certo mi è dispiaciuto perché secondo me ero all'altezza di farlo, come ho visto in futuro, confrontando i miei tempi di test con i più bravi. Ma bisogna anche sapersi accontentare nella vita, ho trovato il lavoro, una continuità. mi sono tolto delle soddisfazioni, e dal 2001, con l'arrivo di Anna, sono state davvero molto forti e gratificanti. |
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Peugeot Italia |
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Oggi che possibilità ha un giovane talento italiano di emergere nei rally?
"In Italia abbiamo concetti diversi rispetto all'estero sul come crescere i piloti. E siccome non li abbiamo cresciuti vuol dire che qualcosa bisogna cambiare. Sia i nordici che i francesi hanno altri metodi. Noi ci troviamo con dei ragazzi di 22 o 23 anni bravi, ma che non abbiamo formato. Abbiamo visto Kalle Rovanpera, ad esempio, un finlandese diciottenne che guida già da parecchi anni. Un italiano magari ha fatto un po' di kart e basta. La figura del tutor in Italia non ha grosso riconoscimento. Esiste il manager, quello che ti cerca lo sponsor, ma manca qualcuno che ti insegni a guidare. Ora sta iniziando a entrare questo concetto, ma va meglio sviluppato."
"I giovani sinora devono sbagliare sulla loro pelle - spiega Anna - e questo è costoso, lungo e magari li mette poi in difficoltà perché non è detto che trovino la soluzione ai loro errori, e quindi non riescono a evolvere oltre un certo punto, pur avendo grande talento. Serve qualcuno che insegni una tecnica, che li segua e li corregga". "In Italia i ragazzi hanno molte persone attorno che gli dicono cosa fare - prosegue Paolo - come lo zio, il padre, il cugino, l'amico, ma spesso con poca competenza. Un vincente che insegna a un giovane è un'altra cosa. In Finlandia le scuole federali includono istruttori ex campioni o comunque piloti di alto livello. Non puoi insegnare a diventare un bravo pilota a parole. Devi usare la pratica, le dimostrazioni, soprattutto nella fase iniziale della carriera di un giovane. E questo aspetto in Italia è ancora carente. Un giovane promettente, come i nostri campioni Junior, ha ancora tanto da imparare e migliorare, e non si esaurisce in una stagione. E' un percorso lungo: i giovani vanno mandati nel Mondiale solo quando sanno fare una serie di cose, altrimenti fai un danno, perché i risultati non arrivano e il pilota perde motivazione, gli sponsor non hanno ritorno e si rischia di compromettere una carriera. Ora si è iniziato a ragionare in modo diverso e Aci Team Italia ha intrapreso un percorso nuovo, in precedenza del tutto assente, con un budget dedicato e un progetto definito. Secondo noi il metodo poteva essere diverso, ma c'è voluto tempo affinché cambiassero rotta."
C'è sensibilità anche verso la conoscenza dell'inglese?
"Sicuramente conta, ma certo se arrivi in fondo alle prove speciali e prendi 30 secondi vai poco lontano anche se sei un grande oratore in lingua straniera. Quindi chiaramente va considerato, ma prima bisogna andar forte. E noi sinora non siamo mai arrivati ad essere alla pari con piloti stranieri nella guida e quindi essere scartati per la lingua. Per adesso non esiste una struttura che ti insegni a guidare e comunicare in altra lingua. Sta a te, poi se non ci riesci è colpa tua. Questa è la lacuna da colmare. Alen quando è venuto in Italia per spiegare che aveva problemi ai freni diceva "girling", che era il marchio del costruttore. Io non so bene il francese e collaboro con case francesi da anni. Intanto bisogna arrivare davanti nelle gare, altrimenti non ci prenderanno mai. E infatti forse per altri cinque o sei anni non vedremo un pilota italiano vincente nel Mondiale. Ma almeno siamo partiti e pur se ci sono aspetti da migliorare, la rotta è stata invertita e i risultati arriveranno. Per un giovane poter far parte di un programma WRC per tre anni in modo stabile è un'operazione che non è mai esistita prima. A me per una gara di Mondiale, che all'epoca era di cinque giorni, mi chiedevano delle cifre astronomiche, centinaia di milioni, impossibile per un privato e infatti quando ha chiuso la Lancia gli italiani sono spariti dal Mondiale. Aghini ha trovato una serie di circostanze favorevoli per correre agli alti livelli ma soprattutto andava fortissimo. Eppure l'inglese e il francese non li ha mai parlati. Ho proposto a dei giovani di supportarli nella carriera con l'insegnamento e prevedere un ritorno economico per me solo nel momento in cui trovino un ingaggio remunerato, cosa che fanno normalmente in altri paesi, come in Finlandia. Se io avessi avuto un Cerrato all'epoca che mi proponeva qualcosa del genere avrei accettato al volo, invece mi sono sentito rivolgere mille domande e perplessità. La questione quindi da noi è anche culturale."
Cosa ne pensi del nuovo format CIR 2019 con l'inclusione del Rally Italia Sardegna?
"Il Sardegna è una bellissima gara ma va tenuto presente che costa tanto. Però ha un ritorno dal punto di vista promozionale che altre gare non hanno, visto che è una gara di Mondiale ed è l'unico metro di paragone che chi corre in Italia può avere con i piloti del WRC. Che non è poco. Però averla inserita ha fatto lievitare i costi del CIR rispetto a quest'anno e in un momento come questo potrebbe costituire un problema. Se poi ti capita una gara bagnata, in cui le prove si scavano molto, anche le macchine ne soffrono e quindi forse sarebbe stato opportuno togliere un'altra gara per contenere il chilometraggio totale e quindi i costi del Campionato."
Immagini ancora possibile un tuo percorso sportivo senza Anna, se volesse smettere?
"Ho iniziato a vincere tanto con Anna, e non è un caso. Per me lei è importante. Quando abbiamo trovato situazioni toste, in cui serviva tirar fuori l'esperienza, il feeling, insomma l'equipaggio, la sua presenza è stata determinante. Nel 2014, 2017 e 2018 abbiamo vinto il titolo all'ultima gara: in situazioni in cui l'equilibrio conta tanto, lei è una sicurezza. Quindi so che la mia prestazione massima, il mio 100%, lo potrei raggiungere solo con Anna. Ma se lei decidesse di smettere e io avessi l'opportunità di correre bene, non a tutti i costi ma a condizioni interessanti, lo farei comunque, senz'altro." |
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Un pilota vincente conosce il sentimento della paura?
"La paura la devi sentire. E' il tuo sensore. Finché ti limiti a fare le cose che sai fare non esiste la paura. E' quando ti spingi oltre, dove non hai il completo controllo, che subentra un non so se chiamarlo timore, paura o zona di rischio. Magari sono tutte e tre a seconda delle situazioni. Vai, sei sicuro, poi entri in una parte a rischio quando non sei più tu che controlli il mezzo, ma ti senti in balia delle circostanze. A Verona per esempio abbiamo avuto paura quando abbiamo trovato due sassi dietro una curva, di colpo. Quella situazione era del tutto fuori dalla normalità, non è calcolata e devi gestirla come puoi, e altroché se senti paura in quel momento! Per tutto il resto, quando si tratta di strada, il pubblico ben messo, la macchina funziona, è rally ed è il nostro ambiente abituale. Salite, discese, bagnato, asciutto, sporco, nebbia sono elementi che sappiamo controllare e tutti troveranno le stesse condizioni. Diverso è quando un intervento esterno, magari doloso, modifica le condizioni note."
A questo proposito cosa si può fare?
"Sul momento, a Verona, non abbiamo fatto nulla. Poi ci abbiamo ragionato a freddo e deciso di affrontare seriamente questi fatti, che non possono più restare impuniti. Quello è un brutto correre, perché certi gesti mettono in pericolo la vita se io esco di strada in quarta… E devono rappresentare un campanello di allarme fortissimo."
"Con l'attenzione che abbiamo sollevato in Federazione - aggiunge Anna - per il prossimo anno forse riusciamo a produrre qualche risultato concreto, grazie all'introduzione di regole nuove. Non ci interessa la polemica, non vogliamo individuare il colpevole o il mandante, ma dobbiamo stimolare una cultura che bandisca questi atti. Che a mettere sassi sia il tifoso, che pensa di favorire il suo pilota, o dal residente esasperato da ricognizioni ad alta velocità, magari abusive, non importa. Quello che importa è che li mettono ed è questo che va cambiato. Partendo a monte, dalla Federazione che deve sanzionare pesantemente chi prova in modo irregolare, chi aizza il tifo con le polemiche, e chi adotta comportamenti scorretti magari strumentalizzando questi gesti. La comunicazione polemica su questi atti, affidata ai media o peggio ai social media, ha creato nel Campionato Italiano tante tensioni nocive allo sport, che ha perso i suoi connotati primari, ovvero la passione e la sportività. Quindi vogliamo agire in una direzione che possa tutelare i piloti e lo sport, riportandolo ad una dimensione professionale ma pur sempre consapevole che stiamo correndo nel Campionato Italiano Rally. E' necessario che un organismo al di sopra del singolo pilota si faccia promotore di una mentalità sportiva, che chi vuol fare il professionista deve adottare anche suo malgrado o uscire dallo sport, per non costituire un esempio sbagliato per i giovani che in questo mondo vogliono crescere. Lo stesso discorso riguarda le ricognizioni abusive. Ci devono essere sanzioni oggettive, non lasciate alla discrezionalità del collegio dei commissari sportivi, che inevitabilmente sente il peso della responsabilità di una decisione troppo penalizzante per il pilota. In Francia hanno sospeso la licenza per tre anni al giovane emergente Consani per questo motivo. In altri casi l'hanno ritirata a vita. Noi abbiamo questioni di privacy che vanificano persino una denuncia da parte chi ha diretta testimonianza di una violazione, ma sappiamo che avviene continuamente e non va bene. Questa mancanza di cultura sportiva sporca il nostro ambiente e, come effetto di lungo periodo, compromette la carriera di un giovane che ottiene risultati in modo falsato, senza poggiare su un metodo, e viene poi bastonato appena si confronta al di fuori del terreno noto. Ma stiamo lavorando in questa direzione e siamo sicuri che cominceremo a vedere risultati presto perché abbiamo trovato attenzione nella Federazione."
Cosa manca per dare più spinta a questo Campionato?
Penso la qualità del materiale video realizzato sia un punto debole importante. Dovrebbe essere curata di più per fungere da motore promozionale della specialità.
Qual è stata la tua stagione più bella?
"L'ultima si ricorda sempre meglio, ma certo questa è stata sorprendente. Siamo partiti con la macchina più vecchia di tutte, e gli altri molto in forma, e poi si diceva che dovevo smettere... Poi abbiamo vinto tre gare su quattro. Poi l'incidente che, anche a livello mentale, non è stato un ostacolo da poco. Quindi un'annata difficile, contro avversari che hanno fatto evoluzioni. Ma la squadra ha lavorato al top, e le gomme e tutto l'insieme hanno fatto la differenza.
Riguardando tutta la carriera, Paolo Andreucci ha dei rimpianti?
"Devo dire di aver fatto tutto il possibile, rispetto a quello che mi si è presentato. Per cui no, nessun rimpianto. Io ho dato tutto me stesso e sono tranquillo, anzi sono molto felice di come è andata."
L'esperienza ci insegna che il successo di una coppia - nella vita, nel lavoro e nello sport (e in questo caso lo sono in tutto) - passa attraverso la complementarietà. E per puro caso, quasi a volerlo dimostrare, improvvisamente arriva il cameriere e chiede: "Cosa vi porto?". "Un ginseng doppio", la risposta di Anna. "Io una camomilla!", aggiunge Paolo. Più complementari di così…
Non sappiamo ancora dirvi cosa faranno quest'anno. Qualche ipotesi c'è ma è presto per parlarne. Ma una cosa è sicura: non sono per nulla intenzionati a lasciare i rally, e li rivedremo da protagonisti. |
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